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Da dove nasce l’idea - Forse per festeggiare il suo mezzo secolo di vita, la Casa di Mattighofen, nel 2003, ha lanciato una provocazione: presentare nella tana del lupo (Salone di Tokio) il prototipo di una supersportiva esteticamente rivoluzionaria. La provocazione è diventata sogno nel 2004 e il sogno è diventato bozzetto a fine 2005. Solo 30 mesi più tardi, eccoci qui con la RC8, la prima Superbike e la più potente KTM di sempre.
Com’è fatta - La moto si presenta con la solita livrea spigolosa e anticonvenzionale firmata Kiska che appare molto riuscita nella zona laterale e soprattutto del codone, ma più discutibile nella zona anteriore, dove il gruppo ottico ingombra quasi tutto il cupolino. Le slider del serbatoio, i supporti delle pedane del passeggero e gli specchietti appesi sotto la carenatura denotano una cura stilistica particolare. Ma i contenuti tecnici della moto sono superiori: il telaio in tubi a sezione variabile, a cui sono in fulcrati sia l’inedito monoammortizzatore sia il forcellone in alluminio sia le pedane pluriregolabili, pesa solo 7,5 kg. Il motore a V di 75° di 1.148 cc eroga 155 CV a 10.000 giri e 12,4 kgm di coppia massima a 8.000 giri: in pratica siamo allineati alla Ducati 1098. Si caratterizza per un carattere non troppo superquadro (103 mm di corsa), per una compattezza e una leggerezza (58 kg) di riferimento. Monta corpi farfallati di 52 mm di diametro e l’iniezione Keihin; non ha l’antisaltellamento e la lubrificazione è a carter secco; le valvole sono mosse da bilancieri a dito e le vibrazioni sono smorzate da due contralberi.
Come va - KTM dichiara un’accelerazione 0-200 km/h in meno di 10 secondi. È probabile. Vero è che il motore è talmente fluido nell’erogazione e civile nel rumore di scarico/aspirazione che la sensazione di spinta è inferiore a quanto, per esempio, trasmette una Ducati 1098, che regala al pilota la sensazione di domare un toro meccanico. In compenso la RC8 è la classica moto che fa strada con una progressione vigorosa e linearissima da 2.000 a 10.500 giri indicati, dove interviene il limitatore. In accelerazione, le vibrazioni trasmesse al pilota sono molto elevate, soprattutto tra 7.000 e 8.000 giri, in corrispondenza delle pedane più che al manubrio. Insomma, il motore passa a pieni voti la prova, ma a nostro parere non merita la lode, anche a causa di un cambio migliorabile: un po’ lunga la corsa alla leva e un po’ impreciso il passaggio di marcia veloce sia a salire sia a scendere. Per contro, la ciclistica è fantastica, oseremmo dire già al livello delle migliori supersportive attualmente in commercio. Grazie a 23,3° di inclinazione cannotto di sterzo e 1.430 mm di interasse si è trovato un mix perfetto tra stabilità sul veloce e maneggevolezza. Nei cambi di direzione nessuna maxi sembra altrettanto rapida e l’avantreno è piantato a terra come forse solo la nuova Kawasaki ZX-10R sa fare. Sospensioni e freni lavorano in maniera eccellente in qualsiasi condizione, salvo in due casi: il monoamortizzatore “pompa” leggermente sul veloce e in staccata si avverte una certa tendenza del retrotreno a scomporsi a causa della facilità con cui la gomma posteriore si stacca da terra e, probabilmente, anche per colpa dell’assenza dell’antisaltellamento. In percorrenza di curva la luce a terra è buona, anche se ogni tanto la carena che avvolge la marmitta striscia sull’asfalto, e in uscita il forcellone lunghissimo (570-600 mm) e il gommone 190/55 Pirelli Supercorsa Pro regalano una trazione eccezionale e prevengono qualsiasi tendenza all’impennata.
On-board Camera:
http://www.motociclismo.it/edisport/moto/notizie.nsf/SommarioPub/D1C8F927C338E933C12573FC002D1BD5?OpenDocument
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